RISVOLTI DEL SESSANTOTTO
Ci troviamo all'indomani del
sessantotto, uno degli slogan più ricchi di sfumature di significato
è la frase “Tais toi, objet” scritta sui muri della Sorbona.
Il mondo dell'architettura, e quello delle arti più in generale,
negli anni seguenti si caratterizzerà, da una parte, della volontà
di liberarsi dalla schiavitù della macchina e della conseguente
ripetitività seriale e alienante; dall'altra, la formulazione
sintetica della frase, si fa rivelatrice di una passione per il
linguaggio in sé, per la sua autonoma forza.
Episodio importante, nella comprensione
dello slittamento dell'oggetto della ricerca architettonica e
artistica, è senza dubbio l'organizzazione della Triennale
d'architettura, da parte di Giancarlo De Carlo, a Milano nel
settembre 1968. In questa occasione il centro del dibattito
architettonica sarebbe dovuto essere l'impegno sociale
dell'architetto e la valorizzazione della partecipazione, uso il
condizionale perchè di fatto questa fu una mostra “non vista”
poiche il giorno dopo l'apertura venne occupata dal Movimento degli
studenti in quanto mostra “borghese e riformista”. La Triennale
milanese riapre solo cinque anni dopo con una mostra curata da Aldo
Rossi, intitolata “L'architettura razionale”; l'impostazione
culturale della mostra non è più basata sulla ricerca culturale
basata sulle istanze sociali, ma centro del problema ora è la
rivendicazione di un'autonomia formale dell'architettura.
In America emerge un gruppo di
architetti il cui cavallo di battaglia è l'estremizzazione del
momento sintattico e formale, visto però in una chiave completamente
astratta.
I NY FIVE
A un convegno al MOMA nel 1969, Kenneth
Frampton presenta al pubblico cinque giovani architetti: sono Peter
Eisenman, Michael Graves, John Hejduk, Richard Meier, Charles
Gwathmey. Peter Eisenman risulta da subito essere la personalità più
spiccatamente propensa per la ricerca teorica; fin dalla tesi del
dottorato appare evidenziato il suo interesse per i processi
linguistici e sintattici che stanno alla base della formalizzazione
dell'opera. Un secondo influsso fortemente presente in lui è quello
dell'arte concettuale, del promuovere l'eliminazione del superfluo
dalle forme per arrivare alla scoperta dell'essenziale.
LE HOUSES DI PETER
Eisenman si rende presto conto che la
conoscenza è diventata la merce più richiesta dal mondo
occidentale; così al centro delle sue pubblicazioni ed esposizioni
pone sempre i numerosi disegni assonometrici che illustrano e rendono
comunicabili i passaggi evolutivi dell'opera. Nasce così la
Cardboard architecture,
l'architettura di carta.
A
partire dal 1967 Eisenman progetta una serie di case ordinate secondo
un numero progressivo. Sono case definite di carta, non tanto per il
loro aspetto leggero, quanto per puntualizzare la loro valenza
concettuale. Per utilizzare un linguaggio che non fosse trito e
ritrito Eisenman sceglie di muoversi alla scoperta del Razionalismo
di Terragni, Lingeri e Cattaneo; in particolare si ritrova ad essere
attratto dalle tecniche compositive di Terragni nella Casa del
Fascio, per il processo di estrazione di materia e di stratificazione
verso l'interno, e nella Casa Giuliani-Frigerio, nella quale la
stratificazione avviene nel verso opposto, verso l'esterno.
Nella
House II risalta il conflitto tra estrazione di materia ed
esplosione; Eisenman riprende dalla Casa del Fascio l'idea di un
quadrato in pianta, ma il semicubo generato non è più compatto
poiché viene ulteriormente modulato tridimensionalmente. Prende il
via qui anche la scelta sintattica dello slittamento e
sovrapposizione del moduli quadrati per lasciare posto alla
circolazione verticale e orizzontale.
La
soluzione al conflitto evidenziato in Terragni viene da Eisenman
definita con la parola implosione. Avviene un'esplosione delle
pareti, dei piani, diventati astratti, dei volumi che non invade
l'esterno; qui l'architettura viene mostrata come processo e non solo
come risultato.
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