domenica 21 aprile 2013

PLASTIK

Dalla House VI.....






.....al bang!


X,Y e Z!

n°1







n°2





n°3




  

n°4






X,Y e Z
Dall'origine dei piani ad uno spazio tridimensionale. L'ortogonalità da ordine, ma ciò non vuol dire che sia un limite alle scelte costruttive: ad una struttura esternamente lineare e semplice non per forza deve corrispondere internamente un sistema di spazi banale. 
La prevalenza del vuoto sul pieno, del contenuto sul contenitore.
I piani disposti nelle tre direzioni saranno lo scheletro portante dell'edificio, il resto sarà solo leggerezza.




sabato 20 aprile 2013

AN UNCONVENTIONAL HOUSE


HOUSE VI, PETER EISENMAN



La House VI di Peter Eisenman include il tema del disorientamento all'interno del lavoro concettuale; lavoro concettuale che è alla base della creazione di una casa che nessuno potrebbe considerare una casa convenzionale.
Eisenman, che faceva parte dei New York Five, progettò la casa per i coniugi Frank tra il 1972 e il 1975. Richard Frank rimase felicemente colpito dal lavoro dell'architetto, nonostante la sua precedente nomea di “paper architect” e teorizzatore. Grazie alla fiducia data a Eisenman e alla possibilità di mettere in pratica le sue teorie, venne alla luce una delle più famose, e difficili, houses degli Stati Uniti.


Situata su un lotto pianeggiante a Cornwall, Connecticut, la House VI si staglia come una scultura circondata dalla natura. Alla base della volumetria dell'edificio vi è un processo concettuale che comincia da una griglia. Eisenman manipola questa griglia così da dividere la casa in quattro sezioni; inoltre gli elementi strutturali sono messi in evidenza, così da avere un procedimento costruttivo leggibile all'esterno, ma non sempre comprensibile. In questo modo la casa divenne un campo di studio tra reale struttura e teoria architettonica; ci troviamo, infatti, davanti ad alcuni pilastri e travi che non hanno effettivamente un ruolo strutturale ma che sono presenti solamente per enfatizzare il design concettuale. Per esempio un pilastro nella cucina non tocca nemmeno il pavimento, oppure in altri ambienti alcune travi si incontrano ma non si incastrano.


La struttura fu inserita, poi, all'interno della griglia di Eisenman così da dare vita al modulo che genererà gli spazi interni, spazi che sono il risultato di volumi che traslando si intersecano gli uni negli altri. Ignorando di proposito l'idea che la funzione determini la forma, Eisenman creò spazi eccentrici e ben illuminati, ma comunque un po' difficili da vivere; per esempio, nella camera da letto vi è una sottile lastra di vetro che percorre tutta una parete in verticale e prosegue in pianta, tagliando l'ambiente in due. Vi sono innumerevoli altri elementi che sono degni di nota per la loro particolarità e per il loro significato: ad esempio la scala ribaltata che sottolinea l'asse dell'edificio ed è dipinta di rosso per attirare l'attenzione.


Eisenman ebbe successo nel realizzare una struttura che funziona sia da abitazione sia da opera d'arte, ma cambiando le priorità è riuscito a sottomettere la funzione all'arte. Costruì un'abitazione-opera d'arte nel quale l'uomo era costretto a vivere facendo attenzione alla scultura-contenitore, e grazie all'entusiasmo dimostrato dal committente, per il lavoro e le idee dell'architetto, la House VI fu un successo.

Primo livello
Livello terra

                                               









PER UN LINGUAGGIO AUTONOMO


RISVOLTI DEL SESSANTOTTO

Ci troviamo all'indomani del sessantotto, uno degli slogan più ricchi di sfumature di significato è la frase “Tais toi, objet” scritta sui muri della Sorbona. Il mondo dell'architettura, e quello delle arti più in generale, negli anni seguenti si caratterizzerà, da una parte, della volontà di liberarsi dalla schiavitù della macchina e della conseguente ripetitività seriale e alienante; dall'altra, la formulazione sintetica della frase, si fa rivelatrice di una passione per il linguaggio in sé, per la sua autonoma forza.

Episodio importante, nella comprensione dello slittamento dell'oggetto della ricerca architettonica e artistica, è senza dubbio l'organizzazione della Triennale d'architettura, da parte di Giancarlo De Carlo, a Milano nel settembre 1968. In questa occasione il centro del dibattito architettonica sarebbe dovuto essere l'impegno sociale dell'architetto e la valorizzazione della partecipazione, uso il condizionale perchè di fatto questa fu una mostra “non vista” poiche il giorno dopo l'apertura venne occupata dal Movimento degli studenti in quanto mostra “borghese e riformista”. La Triennale milanese riapre solo cinque anni dopo con una mostra curata da Aldo Rossi, intitolata “L'architettura razionale”; l'impostazione culturale della mostra non è più basata sulla ricerca culturale basata sulle istanze sociali, ma centro del problema ora è la rivendicazione di un'autonomia formale dell'architettura.

In America emerge un gruppo di architetti il cui cavallo di battaglia è l'estremizzazione del momento sintattico e formale, visto però in una chiave completamente astratta.


I NY FIVE

A un convegno al MOMA nel 1969, Kenneth Frampton presenta al pubblico cinque giovani architetti: sono Peter Eisenman, Michael Graves, John Hejduk, Richard Meier, Charles Gwathmey. Peter Eisenman risulta da subito essere la personalità più spiccatamente propensa per la ricerca teorica; fin dalla tesi del dottorato appare evidenziato il suo interesse per i processi linguistici e sintattici che stanno alla base della formalizzazione dell'opera. Un secondo influsso fortemente presente in lui è quello dell'arte concettuale, del promuovere l'eliminazione del superfluo dalle forme per arrivare alla scoperta dell'essenziale.
Ma senza dubbio l'influsso maggiore deriva dalla posizione del filosofo e psicologo Michel Foucault; entrambi sostenevano che nessuna rivoluzione era mai avvenuta nell'architettura moderna poiché rimane l'abitudine rinascimentale di porre l'uomo al centro. Per Eisenman è necessaria una rottura, l'oggetto-architettura deve esistere indipendentemente dal complesso di significati ideologici, funzionali, sociali, costruttivi per i quali non deve fungere più da veicolo.




LE HOUSES DI PETER

Eisenman si rende presto conto che la conoscenza è diventata la merce più richiesta dal mondo occidentale; così al centro delle sue pubblicazioni ed esposizioni pone sempre i numerosi disegni assonometrici che illustrano e rendono comunicabili i passaggi evolutivi dell'opera. Nasce così la Cardboard architecture, l'architettura di carta.


A partire dal 1967 Eisenman progetta una serie di case ordinate secondo un numero progressivo. Sono case definite di carta, non tanto per il loro aspetto leggero, quanto per puntualizzare la loro valenza concettuale. Per utilizzare un linguaggio che non fosse trito e ritrito Eisenman sceglie di muoversi alla scoperta del Razionalismo di Terragni, Lingeri e Cattaneo; in particolare si ritrova ad essere attratto dalle tecniche compositive di Terragni nella Casa del Fascio, per il processo di estrazione di materia e di stratificazione verso l'interno, e nella Casa Giuliani-Frigerio, nella quale la stratificazione avviene nel verso opposto, verso l'esterno.
Casa del Fascio, Terragni
Casa Giuliani-Frigerio, Terragni











Nella House II risalta il conflitto tra estrazione di materia ed esplosione; Eisenman riprende dalla Casa del Fascio l'idea di un quadrato in pianta, ma il semicubo generato non è più compatto poiché viene ulteriormente modulato tridimensionalmente. Prende il via qui anche la scelta sintattica dello slittamento e sovrapposizione del moduli quadrati per lasciare posto alla circolazione verticale e orizzontale.
La soluzione al conflitto evidenziato in Terragni viene da Eisenman definita con la parola implosione. Avviene un'esplosione delle pareti, dei piani, diventati astratti, dei volumi che non invade l'esterno; qui l'architettura viene mostrata come processo e non solo come risultato.















martedì 9 aprile 2013

FOTOGRAFIA, COMUNICAZIONE, ARCHITETTURA!

.


         
Come già detto, ormai non è più possibile pensare la fotografia al di fuori del sistema dell'arte; è artista il fotografo ed è (a volte) opera d'arte l'immagine fotografica. Sulla scia di quanto detto nel precedente post, è indubbia l'importanza che riveste una tale disciplina sia nell'ambiente della comunicazione che della cultura.

Finalità dell'attività del fotografo è, a mio parere, quella di comunicare la propria visione delle cose, di trasmettere, a coloro che avranno davanti gli occhi l'immagine scattata, tutto quel mondo di sensazioni che lui ha provato nel momento dello scatto. Viene spontaneo fare un parallelo con l'architettura a questo punto.
Come l'immagine si fa veicolo di emozioni e sensazioni, così la forma dell'architettura si fa veicolo delle funzioni da essa contenuta e delle idee alla base della composizione.


“[...] l'architettura alla fine del secolo comincia a spostare il suo centro d'interesse dal suo funzionamento, ad avere una forma che, appunto, informa e che entra a far parte del grande mondo della comuicazione contemporanea.”
(da “Architettura e modernità”, Antonino Saggio)


Emblematico di questo processo di cambiamento di prospettiva è senza alcun dubbio, la vicenda architettonica legata alla realizzazione del Museo d'arte contemporanea di Helsinki, episodio che esprime al massimo la centralità della comunicazione.
Steven Holl si aggiudicò nel 1993 il concorso, tra ben 521 gruppi partecipanti. Chiave del suo lavoro è per l'appunto la comunicazione e in particolar modo la metaforizzazione e i suoi processi.
Il Museo Kiasma si colloca in un'area centralissima di Helsinki, in un'area triangolare posta tra il Parlamento neoclassico di Johan Sigfrid Sirén a ovest, la Stazione ferroviaria di Eliel Saarinen a est, e la Casa Finlandia di Aalto a nord.
La chiave secondo cui leggere il progetto risiede proprio nel motto della partecipazione al concorso del gruppo i Holl: “Kiasma”. Stando a quanto dice lo Zingarelli, il chiasma è una figura retorica nella quale si dispongono in ordine inverso i membri corrispondenti di una frase, o altrimenti in medicina è il punto ove le fibre dei due nervi ottici s'incontrano nella cavità cranica; entrambe le definizioni si adattano al processo creativo messo in atto da Holl: le spazialità e i volumi sono frutto, non di ragionamenti che partono dall'interno, dalla funzione contenuta, ma sono articolati e manipolati in base alle forze trasmesse dal contesto,dalla città; allo stesso modo l'organizzazione de percorsi, l'intreccio dei flussi di percorrenza dei volumi rimanda visivamente all'incrociarsi dei nervi, concettuali e fisici, e da lì che secondo Holl nasce l'architettura. L'idea dell'incrocio, del punto d'incontro tra due "mondi" è perfettamente reso nelle forme: una parte dell'edificio è lineare, quella lungo la strada, mentre la galleria, caratterizzata anche da una sezione e un'ampiezza variabile, descrive una morbida curva, letteralmente abbracciando lo spazio interno dell'edificio. 


















domenica 7 aprile 2013

PER UN MUSEO DELLA FOTOGRAFIA A ROMA

     

Di un museo della fotografia a Roma si sente parlare da anni e molte sono state le sedi ipotizzate per ospitarlo, in diversi quartieri della città che per tradizione, architettura e perfino progetti, rivelavano una più o meno forte vocazione per il contemporaneo.
Trascurare la fotografia oggi significa essere fuori dal tempo. Dell'arte e dell'attualità. La fotografia è, infatti, uno dei linguaggi forti dell'arte contemporanea, un linguaggio che mantiene viva la sua capacità comunicativa, evocativa ed emotiva, in bilico sempre tra l'essere un documento o una vera e propria opera d'arte.
Roma non poteva non avere un luogo ad essa deputato, ed ora finalmente grazie ad una delibera ad hoc Roma Capitale ha deciso di istituire un centro per la fotografia contemporanea.
La fotografia non è solo uno strumento caratterizzato da una sufficiente oggettiva obiettività, è anche uno straordinario medium artistico, strumento che gli artisti hanno saputo e sanno usare per dare vita a una nuova realtà, creata e gestita dall'artista stesso e resa disponibile al fruitore grazie ai nuovi supporti dell'immagine, da quelli tradizionali a quelli digitali.
Una grande capitale come Roma, con un patrimonio storico e culturale ineguagliabile, non può fare a meno oggi di confrontarsi con il contesto europeo.
L'interesse collezionistico e conservativo del patrimonio fotografico, sia pubblico che privato, si è affacciato più volte nel corso dell'ultimo secolo, andandosi sempre a confrontare con le nuove e sempre più raffinate tecnologie rappresentative, in grado non solo di produrre l'immagine, ma soprattutto di manipolarla, di ibridarla e di trasportarla in ambiti culturali e geografici sempre più ampi.
Consapevoli dell'impossibiltà di pensare, oggi, la fotografia al di fuori del sistema dell'arte, si è deciso sì di realizzare un museo dedicato esclusivamente alla fotografia, ma al contempo si mette in rilievo la connessione logistica, nei propositi, il futuro museo dovrà costruire e mantenere con altre istituzioni già esistenti, come il MAXXI e il MACRO.


Alcuni compagni di programma: